Misure coercitive a scopo assistenziale e collocamenti extrafamiliari. Una panoramica

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Per molti decenni, le autorità svizzere sono entrate nella vita di centinaia di migliaia di persone con le cosiddette «misure coercitive a scopo assistenziale e collocamenti extrafamiliari». Queste misure venivano disposte in nome dell’assistenza ma di fatto causavano spesso immense sofferenze. Come sono nate queste misure? Quali principi sociali e politici le hanno caratterizzate? E come è cambiata la loro attuazione nel tempo?

Il concetto di «misure coercitive a scopo assistenziale e collocamenti extrafamiliari» è molto ampio e comprende misure diverse applicate dal XIX secolo fino agli anni Settanta del secolo scorso, se non addirittura oltre. L’obiettivo era combattere la povertà e garantire l’ordine sociale. Questi interventi hanno riguardato bambine e bambini, adolescenti e persone adulte. Queste persone erano in parte vittime di gravi violenze psichiche, fisiche e sessuali, esposte alla fame, trascurate dal punto di vista della salute o sfruttate economicamente. 

Tra le misure più frequenti rientravano i collocamenti extrafamiliari di bambine, bambini e adolescenti in orfanotrofi, «istituti di rieducazione» o presso famiglie affilianti. Alcuni di loro prestavano servizio come «bambini in appalto», cioè svolgevano i lavori più pesanti in aziende agricole o di altro tipo. Questo sistema consentiva di mantenere bassi i costi dell’assistenza. Non mancavano neanche le adozioni forzate: facendo pressione sulle madri o ignorando la loro volontà, bambine e bambini venivano separati definitivamente dalle famiglie d’origine. Una forma frequente di misura coercitiva a scopo assistenziale era il collocamento forzato di persone adulte in cosiddetti «ospizi per i poveri», «istituti di educazione al lavoro» o cliniche psichiatriche. Questi collocamenti di persone adulte e minorenni in istituti chiusi venivano chiamati «internamenti amministrativi»: nella maggior parte dei casi venivano attuati dalle autorità senza una decisione giudiziaria e costituivano una grave intromissione nella libertà personale. Queste intromissioni, che avvenivano in nome delle misure coercitive a scopo di assistenza, comprendevano anche sterilizzazioni e aborti forzati, trattamenti farmacologici e psichiatrici obbligatori.

Anche gli Jenisch e i Sinti, come minoranza perseguitata, furono fortemente colpiti dalle misure coercitive a scopo assistenziale e dai collocamenti extrafamiliari. L’allontanamento sistematico di bambine e bambini, la distruzione definitiva di legami familiari e, di conseguenza, dello stile di vita degli Jenisch sono oggi considerati «crimini contro l’umanità».

I collocamenti extrafamiliari non erano sempre disposti da un’autorità. Molti genitori in difficoltà si vedevano costretti a mandare le proprie figlie e i propri figli in un istituto, a cederli come forza lavoro, oppure subivano pressioni da parte di persone influenti a loro vicine (come il parroco, per esempio) per accettare un collocamento extrafamiliare. Fino alla seconda metà del XX secolo, la povertà in Svizzera era molto diffusa e altrettanto visibile.

Fotografia in bianco e nero di giovani donne in abiti della domenica mentre lavorano nei campi presso il istituto di rieducazione di Loveresse. L'immagine proviene dal volume 2 degli album fotografici della Direzione dell'assistenza ai poveri del Cantone di Berna ed è stata esposta all'Esposizione nazionale del 1914 a Berna.

Giovani donne al lavoro nei campi presso il istituto di rieducazione di Loveresse.

Istituto di rieducazione per ragazze abbandonate a Loveresse (BE). Dagli album fotografici della Direzione dell'assistenza ai poveri del Cantone di Berna, esposti all'Esposizione nazionale del 1914 a Berna. (Autore sconosciuto). Archivio di Stato del Cantone di Berna, StABE T.1091, volume 2, numero immagine 79.

Immagine: sconosciuto. Fonte: Staatliche Erziehungsanstalten: Maison d'éducation pour jeunes filles abandonnées à Loveresse. Zitierung: Staatsarchiv des Kantons Bern, StABE T.1091, Band 2, Bildnummer 79.

Fondamenti nella legislazione cantonale sui poveri del XIX secolo

Le misure coercitive a scopo assistenziale hanno origine nella legislazione cantonale sui poveri del XIX secolo.. Rispondevano all’idea che si aveva al tempo della lotta alla povertà. Nella legge sui poveri del Cantone dei Grigioni del 1857, per esempio, si legge che i bambini potevano essere tolti ai genitori se la famiglia riceveva sostegno dall’assistenza (oggi assistenza sociale) e se i bambini non venivano educati e cresciuti correttamente secondo il giudizio delle autorità. Un altro esempio è la legge sui poveri del Cantone di Berna del 1884. Secondo questa norma, una persona adulta poteva essere collocata in un «istituto di educazione al lavoro» se veniva giudicata «dissoluta», «oziosa» o «alcolizzata», come si usava dire nel linguaggio moralizzante e discriminatorio utilizzato al tempo. In questi istituti, la persona in questione doveva apprendere la «volontà di lavorare» sotto coercizione.

Molte persone subivano più misure coercitive a scopo assistenziale durante la loro vita. L’attuazione era imprevedibile e arbitraria: spesso non sapevano nemmeno quando aspettarsi una misura. E, altrettanto spesso, le famiglie venivano distrutte per sempre dall’allontanamento dei loro membri.

Fotografia in bianco e nero. Letto in una stanza isolata con vecchi giornali. L'immagine mostra le condizioni abitative povere a Flühli nell'Entlebuch (LU), 1947.
Un letto in una stanza isolata con vecchi giornali. Condizioni abitative a Flühli nell'Entlebuch (LU) nel 1947. Immagine: Theo Frey. Fonte: Inventar-Nr.: 2007.55.141, © Theo Frey, Fotostiftung Schweiz.

Maggiori margini di intervento con il Codice civile svizzero

Dal 1912, il Codice civile svizzero (CC) costituì la principale base legale per le misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari. Permetteva alle autorità di revocare l’affidamento ai genitori, di decidere un collocamento extrafamiliare per i figli, di interdire persone adulte o di rinchiuderle in «istituti». Con il tempo, queste misure iniziarono a essere disposte sempre più spesso anche a titolo preventivo. Per esempio, se le autorità temevano che una famiglia potesse ricevere in futuro aiuti finanziari, anche se al momento non li riceveva. Poiché restavano ancora in vigore anche molte leggi cantonali, si formò una situazione legale poco chiara.

Le autorità che prendevano queste decisioni erano spesso rappresentate da persone non sufficientemente competenti: e in effetti, non avevano una formazione specifica per svolgere questo compito così delicato. Ciò nonostante, avevano ampi margini decisionali e di manovra e, di conseguenza, grande potere. Praticamente nessuno controllava le loro decisioni. Spesso giudicavano le persone e il loro comportamento in base a criteri morali. Per esempio, potevano accusare qualcuno di essere troppo «pigro» per gestire al meglio un nucleo familiare. Questo dimenticando che alcuni genitori avevano solo un reddito basso e troppo poco tempo per occuparsi dei figli, e che l’alto costo degli affitti costringeva molte famiglie a vivere in appartamenti piccoli, malsani e fatiscenti.

Modello familiare borghese patriarcale

Il Codice civile svizzero fu approvato da un Parlamento che rappresentava per la maggior parte un modello familiare borghese patriarcale. E questo fu dunque il modello che il Parlamento incluse nella legge. Il padre era la fonte di sostentamento della famiglia, mentre la madre doveva occuparsi della casa e dei figli. Anche la pratica delle misure coercitive a scopo assistenziale seguiva questo modello: i padri di famiglia che non guadagnavano un reddito sufficiente rischiavano il collocamento in un «istituto di educazione al lavoro». Le donne venivano spesso giudicate in base ai loro «buoni costumi». Le madri non sposate, per esempio, erano uno scandalo per buona parte della società ed erano considerate inferiori, insieme ai loro figli. In più, di solito una madre che cresceva da sola i suoi figli non aveva i mezzi per provvedere a sé stessa e ai bambini, e mancavano strutture per l’infanzia. I bambini nati fuori dal matrimonio, quindi, subivano spesso collocamenti extrafamiliari. Anche i figli di genitori separati correvano il rischio di essere allontanati dalle famiglie, perché il divorzio era considerato un fallimento personale e morale. Di conseguenza, le autorità trovavano spesso necessario mandare i bambini, che consideravano «orfani di divorzio», in un istituto o presso una famiglia affiliante.

Fotografia in bianco e nero di un pannello espositivo sul tema dell'affidamento dei bambini dell'Associazione delle donne di Basilea. La foto è stata scattata alla SAFFA (Esposizione svizzera sul lavoro femminile) del 1928 a Berna.
Pannello espositivo sul tema dell'affidamento dei minori dell'Associazione delle donne di Basilea. La foto è stata scattata alla SAFFA (Esposizione svizzera sul lavoro femminile) del 1928 a Berna. Il pannello illustra i requisiti richiesti ai genitori affidatari e le condizioni abitative, nonché la collaborazione tra l'affidamento dei minori e altre organizzazioni. Immagine: sconosciuto. Fonte: Pflegekinderwesen des Basler-Frauenvereins. Zitierung: Staatsarchiv des Kantons Bern, StABE V Frauenzentrale 254.
Fotografia in bianco e nero di un pannello espositivo dedicato al penitenziario cantonale bernese per donne di Hindelbank. La foto è stata scattata alla SAFFA (Esposizione svizzera sul lavoro femminile) del 1928 a Berna. Il pannello descrive i motivi dell'internamento nell'istituto, presenta dati statistici sulle detenute del riformatorio e del penitenziario e illustra lo scopo e gli obiettivi nei confronti delle detenute e delle “trasferite” per motivi amministrativi.
Pannello espositivo dedicato al penitenziario cantonale bernese per donne di Hindelbank. La foto è stata scattata alla SAFFA (Esposizione svizzera sul lavoro femminile) del 1928 a Berna. Il pannello descrive i motivi dell'internamento nell'istituto, presenta dati statistici sulle detenute del riformatorio e del penitenziario e illustra lo scopo e gli obiettivi nei confronti delle detenute e delle “trasferite” per motivi amministrativi. Immagine: sconosciuto. Fonte: Berner Strafanstalt für Frauen Hindelbank. Zitierung: Staatsarchiv des Kantons Bern, StABE V Frauenzentrale 258.

Atteggiamento autoritario e gerarchie sociali

Le autorità agivano in modo molto autoritario. Agli adulti veniva chiesto conto solo raramente delle loro esigenze. A bambine, bambini e adolescenti praticamente mai. I principi moderni del lavoro sociale, basati su un’idea paritaria dell’assistenza, si affermeranno con forza solo nella seconda metà del XX secolo. Le persone interessate, in più, non avevano quasi nessuna possibilità legale di opporsi a una misura coercitiva a scopo assistenziale o a un collocamento extrafamiliare. Solo in pochi Cantoni era possibile arrivare in tribunale presentando un ricorso. Le ricerche hanno però dimostrato che ciò accadeva in pochissimi casi, e ancora meno succedeva che il ricorso avesse successo. I motivi erano tanti: le persone interessate non sapevano quali possibilità avevano per fare ricorso, per esempio. Inoltre, di solito non avevano i mezzi finanziari per ricorrere a un’assistenza legale. La pratica delle misure coercitive a scopo assistenziale manteneva quindi le disuguaglianze sociali. Anziché sostenere le persone interessate, finiva per emarginarle e stigmatizzarle ancora di più. Le gerarchie sociali continuavano ad esistere.

Chi è responsabile?

Nella pratica delle misure coercitive a scopo assistenziale e nei collocamenti extrafamiliari erano coinvolte numerose persone, autorità e istituzioni. Tra di loro, quelle che emanavano le leggi e quelle che prendevano le decisioni. Queste ultime erano spesso autorità locali, per esempio le autorità tutorie. Anche istituzioni come ospizi, «istituti di rieducazione», cliniche psichiatriche o le numerose cosiddette «associazioni di sostegno all’infanzia» (per esempio il progetto legato all’opera assistenziale «Bambini della strada», o il «Seraphisches Liebeswerk») erano parte del sistema. Molte autorità, poi, trascurarono fino a ben oltre la metà del XX secolo le norme che prevedevano il controllo e la vigilanza sugli istituti. Anche se il diritto penale, poi, prevedeva multe per il personale degli istituti o anche per i genitori in caso di gravi violenze o abusi, non si arrivava quasi mai a un procedimento penale. E anche questo, comunque, non garantiva giustizia alle vittime. La giustizia poteva decidere unilateralmente e a sfavore delle persone interessate. Spesso anche stretti rapporti personali tra gli attori coinvolti impedivano una visione indipendente. Un ruolo centrale era assunto anche dalle Chiese. Queste gestivano diverse strutture e fornivano personale a orfanotrofi o «istituti». Agivano come autorità morali e sostenevano le pratiche delle misure coercitive a scopo assistenziale. I risultati della ricerca dimostrano anche che i rigidi principi morali e le strutture ecclesiastiche favorivano gli abusi e l’insabbiamento. La responsabilità ricade poi anche sull’intera popolazione, che spesso taceva fingendo di non sapere o voltava il capo dall’altra parte.

La fotografia in bianco e nero mostra una scena invernale davanti a un edificio, probabilmente un istituto per bambini jenisch. In primo piano si vede un bambino vestito con un cappotto e un berretto che si avvicina a un cancello aperto. Dietro al bambino, il dottor Alfred Siegfried, con cappello e cappotto, e altri due bambini si dirigono verso l'edificio. Il terreno è coperto di neve e il cancello si apre su un cortile con una casa a più piani sullo sfondo.
Il dottor Alfred Siegfried con bambini jenisch, 1953. Immagine: Hans Staub. Fonte: Inventar-Nr.: 1978.999.346. © Hans Staub, Fotostiftung Schweiz.

Calo delle misure coercitive a scopo assistenziale dopo la Seconda guerra mondiale

La prima metà del XX secolo fu caratterizzata da posizioni conservatrici e autoritarie, crisi economiche e povertà. Continuavano a mancare largamente le coperture legali per malattia, infortunio o perdita del lavoro. Di conseguenza, in questo periodo venne autorizzato un numero particolarmente alto di misure coercitive a scopo assistenziale e collocamenti extrafamiliari. 

Nella seconda metà del XX secolo, le misure coercitive a scopo assistenziale diminuirono sempre di più. A questo calo contribuirono lo slancio economico senza precedenti che seguì alla Seconda guerra mondiale, l’introduzione di nuove assicurazioni sociali (come l’assicurazione per la vecchiaia e i superstiti/AVS nel 1948, per esempio), e l’ampliamento delle offerte ambulatoriali di assistenza e consulenza. Al boom economico diedero un contributo decisivo forze lavoro estere. Così, mentre le condizioni di vita di molte svizzere e molti svizzeri miglioravano sensibilmente, la politica familiare repressiva iniziava a interessare sempre di più la popolazione migrante: molte famiglie venivano separate perché i figli non avevano il permesso di raggiungere la Svizzera o perché dovevano vivere nascosti o rinchiusi in istituti all’interno del Paese.

Oggi non è più possibile ricostruire il numero delle persone residenti in Svizzera che furono colpite da misure coercitive a scopo assistenziale e da collocamenti extrafamiliari. Secondo le ricerche, però, si tratterebbe di diverse centinaia di migliaia.

Fotografia in bianco e nero di una stanza con stufa, letti e tavolo. Probabilmente si tratta di un alloggio per lavoratori stagionali, 1970. L'immagine proviene dall'archivio del quotidiano «Vorwärts».

Una stanza con stufa, letti e tavolo, probabilmente un alloggio per lavoratori stagionali, 1970.

Gli anni Settanta: cambiamento dei valori ed estensione dei diritti fondamentali

Gli anni Settanta furono un momento di profondo cambiamento per la pratica delle misure coercitive a scopo assistenziale. In questo periodo, nuovi movimenti sociali misero in discussione le autorità e i rapporti di potere in diversi settori della società. Le norme di genere patriarcali furono criticate e nel 1971 furono introdotti il diritto di voto e di eleggibilità per le donne. Le persone chiedevano stili di vita diversi e maggiori libertà. Nel dinamismo di questi grandi cambiamenti sociali nacquero gruppi che criticavano l’esecuzione delle pene in strutture chiuse, come «Heimkampagne», una campagna contro gli istituti di rieducazione, o «Aktion Strafvollzug» (ASTRA). Questi gruppi denunciavano l’arretratezza delle strutture, le pratiche penali degradanti e il lavoro forzato in «istituti di rieducazione», prigioni e istituti psichiatrici. Furono attivi anche comitati che si battevano per i diritti delle persone con disabilità.

Un passo molto importante fu l’adesione della Svizzera alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) nel 1974. La CEDU vieta di rinchiudere le persone per motivi vaghi, come la probabilità che queste abbiano bisogno di assistenza in futuro. Inoltre, prevede che chiunque venga privato della libertà sia informato immediatamente dei motivi e possa chiedere a un tribunale indipendente di verificare l’imposizione della misura. Per attuare queste disposizioni, nel 1981 la Svizzera introdusse nel CC (e quindi a livello federale) regole uniformi sulla privazione della libertà a scopo assistenziale (dal 2013: «ricovero a scopo assistenziale») in istituti stazionari. 

Negli anni Settanta fu modernizzato anche il diritto della filiazione del CC. Dal 1978, le madri non coniugate ottennero l'affidamento dei propri figli, per esempio. Per la revisione del diritto tutorio del CC era però necessario attendere ancora qualche anno.

Fotografia in bianco e nero di una donna in piedi su una scala che copre con della vernice un manifesto elettorale degli oppositori del diritto di voto alle donne. Il testo sui suoi manifesti recita: «Per quanto tempo ancora vogliamo essere gli zimbelli d'Europa?» e «Mandiamo al museo i disprezzatori dei diritti umani». La fotografia è stata scattata probabilmente durante la «Marcia su Berna» del 1969.

Donna su una scala mentre ricopre un manifesto elettorale degli oppositori al suffragio femminile, 1969

Probabilmente la fotografia è stata scattata durante la «Marcia su Berna».

Immagine: sconosciuto. Fonte: F Fc-0003-39, Schweizerisches Sozialarchiv.

Fotografia in bianco e nero della manifestazione del 1° maggio 1976 a Berna. Diversi manifestanti con striscioni contro il sistema penitenziario.

Persone che manifestano con striscioni contro il sistema penitenziario.

Manifestazione del 1° maggio a Berna nel 1976, Marktgasse Bern.

Immagine: Hansueli Trachsel. Fonte: @ Flavia Fall, fotoCH, ID foto: 150514.

Fotografia in bianco e nero di una persona all'AJZ (Autonomes Jugendzentrum Zürich, Centro giovanile autonomo di Zurigo) che dipinge uno striscione con lo slogan «Contro la psichiatria che uccide». La foto è stata scattata il 12 luglio 1980 e documenta il movimento giovanile degli anni '80.

Striscione «Contro la psichiatria che uccide», 1980

Una persona all'AJZ (Centro giovanile autonomo di Zurigo) dipinge uno striscione con lo slogan «Contro la psichiatria che uccide», 12.07.1980

Immagine: Gertrud Vogler. Fonte: F 5107-Na-10-058-012, "Jugendbewegung, 12.07.1980" - Transparent "Gegen die tötende Psychiatrie"; AJZ, Zürich, Schweizerisches Sozialarchiv.

La strada fino al presente

Le disposizioni che sostituirono il diritto tutorio in atto dal 1912 entrarono in vigore nel 2013 con il nome di «Diritto della protezione dei minori e degli adulti (APMA)». Una modifica essenziale riguardava il fatto che da allora in poi non sarebbero più state autorità non specificamente qualificate a decidere le misure, ma organi composti da professionisti in diversi ambiti. 

Un altro passo importante per il potenziamento dei diritti dell’infanzia fu la Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata dalla Svizzera nel 1997. La Convenzione esige che bambine, bambini e adolescenti siano protetti da abusi e sfruttamento e siano considerati persone a sé stanti.

La storia delle misure coercitive a scopo assistenziale e dei collocamenti extrafamiliari dimostra che per lungo tempo fu data per scontata la possibilità di limitare fortemente i diritti individuali di alcune persone. Nei loro confronti si agiva in modo umiliante e controllante, con l’idea di combattere la povertà e mettere ordine nella società. Una tensione di fondo tra assistenza da un lato e controllo dall’altro, d’altronde, ha sempre caratterizzato il lavoro sociale fino a oggi. Questo resta un tema importante su cui vigilare e riflettere. È significativo chiedersi anche cosa possono insegnarci le violazioni della personalità del passato per la gestione presente dei diritti umani e fondamentali.

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