Conseguenze per le persone interessate
Le misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari avevano spesso effetti drastici sulle persone interessate, che condizionavano tutta la loro vita e avevano conseguenze anche per le generazioni successive. Molte delle persone interessate hanno ancora oggi problemi di salute, difficoltà economiche oppure continuano a vivere ai margini della società. La possibilità di subire ulteriori limitazioni o di perdere l’autodeterminazione, per esempio il solo pensiero di avere bisogno di assistenza da anziane, le preoccupa enormemente.
Violente intromissioni nella vita delle persone
Le persone interessate hanno spesso subito più forme di misure coercitive a scopo assistenziale e collocamenti extrafamiliari nell’arco di una vita: strappate ai genitori in tenera età, cresciute in istituti o in famiglie affilianti, spesso ricollocate più volte, sottoposte a perizie di specialisti, assegnate a classi speciali e a volte, da adulte, sottoposte a internamenti amministrativi. A volte, da bambine o da giovani, erano già state vittime di violenza domestica nella famiglia di origine. Invece di aiutare le famiglie in situazioni difficili, le autorità distruggevano i nuclei familiari. Spesso veniva interrotto ogni contatto con i genitori e venivano separati fratelli e sorelle.
Molte di queste persone hanno patito un grande dolore. Non hanno avuto la possibilità di crescere con le loro famiglie, sono state sfruttate come manodopera e hanno vissuto in istituti, con famiglie affilianti o con famiglie adottive, dove sono state spesso trascurate o vittime di gravi violenze: picchiate, umiliate, in molti casi anche abusate sessualmente e persino spinte al suicidio. Gran parte di loro non ha mai fatto studi regolari, né ha mai imparato una professione.
Non sono mancate nemmeno terapie farmacologiche, sterilizzazioni forzate e divieti di contrarre matrimoni.
Il presente del passato
Le storie di vita di molte persone interessate le descrivono sole e isolate, e alcune di loro continuano a esserlo anche adesso. All’uscita dall’istituto, dopo la privazione della libertà o dopo la revoca della tutela, la vita era spesso difficile. Molte di queste persone non avevano più contatti con le famiglie d’origine, avevano poche opportunità di lavoro e gravi disturbi fisici o mentali a causa delle violenze subite. A tutto questo si aggiungevano i pregiudizi sociali, la mancanza di rapporti interpersonali e la scarsa conoscenza della vita quotidiana al di fuori degli istituti.
Le persone interessate, a volte, spiegano di faticare ancora oggi a fidarsi di qualcuno o a costruire una relazione. I familiari apparivano come degli estranei e, in alcuni casi, lo sono rimasti per tutta la vita. Negli atti si trovano spesso descrizioni umilianti della loro persona o della loro famiglia. Atti che, di frequente, sono però le uniche testimonianze della loro infanzia.
Il passato si ripresentava spesso alle persone interessate, per esempio quando dovevano candidarsi per un lavoro o presentare un curriculum, o i genitori non si presentavano al loro matrimonio. Lo stigma è forte ancora oggi e su molte situazioni pesa un senso di vergogna. Questo ha a che vedere anche con i luoghi e le istituzioni in cui queste persone sono cresciute: case di educazione, istituti di lavoro forzato, cliniche psichiatriche e prigioni.
Conseguenze per le generazioni seguenti
Quello che hanno vissuto ha conseguenze dirette anche per i congiunti, i rapporti di amicizia e le relazioni sentimentali. Redditi bassi, alte spese sanitarie e l’assenza di modelli positivi hanno segnato le famiglie delle persone interessate anche negli anni seguenti. Le figlie e i figli di queste persone raccontano di genitori distanti, poco coinvolti emotivamente e a volte violenti. Spesso le persone interessate della seconda generazione dicono anche che i genitori non riuscivano a parlare con loro del dolore e dell’ingiustizia subiti, e se lo hanno fatto è stato solo di recente. Soprattutto, quando hanno capito che molte altre persone avevano fatto le loro stesse esperienze.
Discriminate per tutta la vita
Gli studi scientifici confermano l’impressione delle persone interessate, che si sentono svantaggiate per tutta la vita. Il versamento di un contributo di solidarietà di 25 000 franchi, un gesto simbolico che riconosce l’ingiustizia subita e dimostra solidarietà sociale, consente a molte persone di realizzare un grande desiderio per la prima volta nella vita. Un contributo di solidarietà, però, non è un risarcimento regolare, in grado di migliorare stabilmente la loro situazione. I contributi della Confederazione o dei Cantoni, o il sostegno da parte di servizi di contatto cantonali, possono non coprire tutte le esigenze delle persone interessate. Molte di loro vorrebbero un sostegno nel lungo termine. Soprattutto quando invecchiano, hanno bisogno di assistenza o stanno per entrare in un ricovero per anziani o in una casa di cura, le persone interessate possono essere di nuovo confrontate con le brutte esperienze fatte in passato. Anche i contatti con le autorità, come le autorità di protezione dei minori e degli adulti, per esempio, o una visita medica, possono essere difficili da superare, perché si sentono nelle mani di queste figure o hanno paura di non essere prese sul serio. Altre vorrebbero un aiuto perché hanno rapporti difficili con i congiunti o con le persone vicine. Anche per le persone interessate delle generazioni successive, le proposte e le possibilità di una rielaborazione comune sono poche.
L’obiettivo dell’autodeterminazione
Il modo in cui le persone interessate vedono la propria situazione attuale dipende soprattutto da quanto sono riuscite a costruirsi un’autostima e a vivere una vita autodeterminata, nonostante l’ingiustizia e il dolore sofferti. Per questo le persone interessate si impegnano e, a volte, spendono tantissimo per studiare o per pagarsi le terapie. Il confronto con il passato e con i traumi subiti accompagna alcune di loro per tutta la vita.
Copertina dell'autobiografia di Louisette Buchard-Molteni (1933-2004), pubblicata nel 1995 con il titolo «Le tour de Suisse en cage, l'enfance volée de Louisette» (in italiano: Il giro della Svizzera in gabbia, l'infanzia rubata di Louisette). Louisette Buchard-Molteni si è impegnata a livello politico, attivistico e artistico contro le misure coercitive e gli affidamenti extrafamiliari.